Con Paolo Pugni sul Cammino di Santiago: le lezioni del cammino
Da oggi e per qualche domenica percorreremo il Cammino di Santiago. Lo abbiamo fatto qualche tempo fa con Raffaella e la sua famiglia (se volete rileggerlo, eccolo qui). Stavolta a guidarci è Paolo Pugni, che ha affrontato il cammino durante la primavera scorsa, con la moglie Franca. Ho seguito gli spostamenti di Paolo e Franca tappa per tappa: ogni sera Paolo pubblicava su Facebook le foto del giorno insieme a qualche pensiero. Potrei stare ore a lodarvi Paolo Pugni, che conosco solo via etere. Posso riassumere il tutto dicendo che è un chimico industriale (come me!). Sintetizzando ancora, potrei aggiungere che è il mio mito. Dato che questa parola non me l'avete mai sentita usare su questi schermi... beh, fatevi due conti e, per conoscerlo meglio (se vi incuriosisce, ovvio!), andate a guardarvi i suoi blog/siti: http://venditareferenziata.blogspot.com/, http://exportlowcost.blogspot.it/ e http://famigliefelici.blogspot.it/
Siete pronti per il cammino? Eccolo. Ed ecco "le lezioni del cammino"
Poi torni e ti trovi in aeroporto. E lì ti accorgi che non ci sono meriti acquisiti, che la Grazia non ti sta addosso come un tatuaggio incancellabile, ma che te la devi custodire e proteggere. Che il dono che hai ricevuto può essere un odore che lavi via alla prima doccia o un seme da far crescere e salvaguardare, con piccoli gesti. Sta a te deciderlo.
Perché lì ritrovi l’umanità fatta dei suoi limiti, magari che lo sono solo per te. E devi decidere se li vuoi disprezzare o accogliere. Per me l’aeroporto è luogo di sfida e tentazioni e tra tutte la più grande è proprio questa: superare lo sdegno, quel misto di disgusto per la banalità, l’ignoranza, la maleducazione, la totale assenza di eleganza. Secondo il tuo metro si intende, per il quale son tutti coatti.
Vorresti che tutti fossero belli, furbi, svegli, arguti, ironici, intelligenti, colti, sensibili, attenti, pazienti. Come te. O alla tua altezza. Così li potresti amare.
Quindi dimmi: in fin dei conti vorresti soltanto amare te stesso clonato negli altri!
Comodo così.
Sporcati il cuore, amando persone vere, come gli altri amano te nonostante i tuoi limiti!
Ecco. Lì capisci che puoi fare la differenza se vuoi, se lo scegli.
E il Cammino, che poi è la voce di Dio, è messaggio, profezia, sussurro, allora può fare effetto e continuare a tenerti sul suo sentiero, che poi la vita è continuo cammino, viaggio, ti fermi solo per cedere, per farti schiantare della tentazioni.
“Noi siam peregrin come voi siete” (Purgatorio II 63) inesperti “d’esto loco” che è la vita se non ci facciamo guidare.
Il cammino me ne ha impartite molte di lezioni che ho il piacere di condividere con voi, se lo volete, partendo proprio da qui, dal dono più grande, più intenso, più utile. Più profondo. Da non dimenticare mai.
Dal quale voglio cominciare.
La lezione delle frecce. Sono ovunque. E ti segnano la strada.
Sono fatte di sassi: ecco le piccole cose di tutti i giorni che solo se messe insieme, connesse, ti dicono la strada, ti guidano, devi fare lo sforzo di trovarle e collegarle tra di loro per capire il senso, capire la direzione.
Sono nascoste tra altri segnali, li devi trovare: devi stare attento, non perdere la concentrazione, l’attenzione: mistico nella realtà di tutti i giorni. Attento a trovare quello che cerchi, senza distrarti, lasciarti andare.
Sono tracciate da mani di chi non ti ha mai conosciuto, non sa chi sei, non sa a chi serviranno. Eppure lo ha fatto. E adesso servono a te. Semi sparsi con generosità che proprio adesso, per me, fioriscono. E che anche io devo spargere per altri.
Eccoci all’inizio della strada: chi viene con noi?
La lezione che ti impartisce il Cammino la capisci meglio quando arrivi a Santiago.
Perché da lì tutto comincia anche se sembra che tutto lì finisca.
Intanto quando arrivi, chiunque tu sia, per qualunque cosa tu abbia camminato, anche solo per turismo, quando entri in città vai diretto alla Cattedrale. La strada finisce lì. Non al tuo hotel. Non al bar.
Non ti fermi finche non sei lì in quella piazza e vedi le torri e ti scatti il selfie.
Ti attira. Attirerò tutti a me. Il cuore resta inquieto finché non arriva lì.
E tutti si commuovono. Sarà il mal di gambe, lo sforzo finito. Non so. Io vedo. Constato.
Parla il cuore.
Il centro è lì.
Poi Santiago ti scuote, ti toglie di dosso il rischio dello straordinario che può aver vestito nella tappe precedenti, per certi versi chiuse su se stesse, in un mondo fatto di pellegrini (o turigrini, comunque di gente che viaggia, siano bicigrini, piedigrini o ippogrifi, siano purigrini che stanno negli ostelli o spussigrini che preferiscono stanze o alberghi) sei sempre sul cammino e un po’ protagonista, con tutti che ti guardano con affetto e fraternità.
Così arrivi a Santiago, superando il ponte ed entrando nella periferia -che giusto a ricordarti che cosa sia il mondo ti saluta con Decathlon e altri capannoni simili- e non ti si fila nessuno. Anzi, cammini infangato, ingobbito dallo zaino, appeso alle racchette o bastone che sia, e intorno ti guardano con un po’ di fastidio: dopo mille anni ancora gente che cammina fin qui? Intorno gente in giacca e cravatta, tacco a spillo, tuta da lavoro. Negozi, bar, uffici. E tu risali e poi scendi e poi risali come un personaggio fuori luogo, isolato, una macchia ne quadro.
Arrivi nella città vecchia e comincia a rivedere altri pellegrini, ritrovare la complicità di chi è arrivato ieri, ma nessuna banda, nessun comitato. Arrivi sulla piazza e non c’è un maxischermo che ti accolga rilanciando il tuo nome.
Anzi quasi devi districarti per capire dove andare.
Ti accolgono quelli che distribuiscono volantini di ostelli e ristoranti, che ti dicono di entrare dal lato perché il frontale è chiuso. E la zingara che chiede l’elemosina ti ammonisce a non entrare con lo zaino che non si può. Ed è vero, e mi sembra impossibile, che hai fatto tata strada e sei lì ma non puoi entrare in cattedrale con lo zaino.
Ti mandano all’officina del pellegrino dove puoi deporre il carico e ritirare l’onore della Compostela, che attesta il pellegrinaggio.
Poi sparisci. Sei un reduce. Uno già arrivato.
Che grande lezione di umiltà! Che delicato insegnamento del tuo posto nella vita. Sei parte della storia sì ma, un sassolino, nel viale di ghiaia dell’eternità. Sparisci subito dal palcoscenico appena arrivato, per evitare di inorgoglirti, di sentirti il pigro che fece l’impresa. Quale impresa? Quante persone hanno visto arrivare lì quelle pietre? Quante storie, drammi, felicità, dolori, speranze? E quanti sono morti nel camminare? Hai pregato per loro mentre ricalcavi i loro passi?
Ecco, questo scivolamento nella massa, mai però indistinta, direi popolo allora, dove ognuno ha un nome anche se il cognome è comune, questo capire che sei una parte e non l’unico, questo lasciare spazio, essere lì a battere la mani a chi arriva domani e posdomani, a non restare sul palco se non un battito di ciglia, è così aiuto per capire quanto bene ti vuole un Dio che ti ama come figlio unico sì, ma in mezzo a tantissimi fratelli.
Ecco, questa lezione ti spiega tutto quello che hai vissuto, ogni singolo passo, perché gli dà quella profondità che l’andare rapido aveva confuso.
L’ho imparato fin dalla seconda tappa, quella che da Molinaseca ci ha portato a Villafranca del Bierzo, 32 chilometri in là: tra pellegrini ci si riconosce. Ci si saluta. Buen camino è la parola d’ordine. E non è una consuetudine sdrucita e insipida. È un augurio sincero. Che sta in mezzo alla strada e ti conduce.
Poi ho pensato: ci si riconosce e ti si spalanca il sorriso, ti si ammusica il cuore, come se nella folla avessi visto un parente, un amico, un viso caro.
E se fosse così sempre? Che al riconoscerli ti si squaderna la gioia, squarcia il grigio per far irrompere addosso la serenità, quella che dura?
E riconosce chi? Chi sta camminando? Ma tutti siamo sul sentiero! È che qualcuno non lo sa, non si vede lo zaino, non si sente mentre cammina, convinto com’è di starsene comodo -oppure l’opposto: disincantato, deluso, depresso- a bordo strada.
Tutti camminiamo, alcuni forse con maggiore consapevolezza: e questi io li riconosco? Li sostengo? Li incoraggio? Sono per loro l’augurio di un buen camino?
O sono intralcio?
E anche quando sei alla fine, il giorno dopo, in abiti “borghesi”, e li incontri questi pellegrini che stanno quasi completando il loro Camino -il viaggio no, non si finisce mai- ecco li saluti, li vorresti abbracciare, perché lì, davvero lì, riconosci quel tratto comune che segna la fraternità.
Ma poi la gioia si smarmella, si spatascia, si slarga e strabocca che ti vien voglia di sorridere e salutare tutti quelli che incontri e finché sei sui sentieri segnati solo dalle frecce gialle è un conto, ma quando attraversi borghi o città -Ponferrada ad esempio nella seconda tappa- a volte è imbarazzante. Mettiti dall’altra parte, sei lì serrato nel tuo pensiero, la riunione, la scuola, le bollette, e viene in contro questo tipo ricoperto di cerata con un enorme zaino sulel spalle racchiuso in un telo giallo e ti sorride e ti saluta. Ma che cosa vuole? Forse soltanto che questa giornata sia buona anche per te.
È così difficile?
Perché quando sei all’altro estremo del saluto, oh come ti si allieta l’animo!
Tra i momenti più esaltanti del nostro andare, sempre in questa seconda tappa, faticosissima, ricordo il passaggio in un quartiere residenziale all’estremità ovest di Ponferrada, che non sembrava finire mai: eravamo intorno al dodicesimo chilometro e sapevamo che ne restavano altri venti circa. Era appena apparso il sole. E anche una prima crisi -le crisi vanno a strappi, come le rampe di una scala: come se all’improvviso alla fine del corridoio ti trovi davanti una nuova scalinata da risalire e soffri poi quando sei in cima hai un altro corridoio piano e riprendi fiato- e scorrevamo lenti tra le villette. Tra bambini su pattini e altre ruote ci vengono incontro, ci affiancano, ci sorridono: buen camino urlano. Ecco, sanno già distinguere la strada, con quella purezza tipica dei piccoli. E allora tutto riprende senso, cammini anche per loro, per dare a loro una speranza, per confermare il significato della vita.
Perché finche c’è gente che cammina, c’è la carezza di Dio per l’uomo.