I Balcani dopo la Guerra: intervista a Simonetta Di Zanutto

Friuli, terra di frontiera: i Balcani sono vicini, il confine con la mitteleuropea Slovenia a pochi chilometri. Conosco -via blog- Simonetta Di Zanutto non so da quanto. È una giornalista professionista di Udine con un'enorme passione per i Balcani, che racconta sul suo Ritagli di Viaggio. Mi è naturale seguire chilometro dopo chilometro i suo viaggi: anch'io sono un'amante dei Balcani. Un po' invidio la sua vicinanza al confine: potessi, anch'io andrei più spesso nei Balcani. Nel luglio scorso Simonetta ha compiuto un viaggio importante per chi ama i Balcani e la loro gente: è stata a Srebrenica proprio nel ventennale dell'eccidio. Lì ha incontrato Alessandro Coccolo, anche lui friulano, ingegnere e fotografo. Da sabato 30 gennaio a domenica 21 febbraio, 30 fotografie di Alessandro, banco e nero, scattate in analogico, accompagnate dai testi di Simonetta, saranno in mostra alla Libreria Feltrinelli di Udine. La mostra, dal titolo "Around Srebrenica. Viaggio nei Balcani, 20 anni dopo", è un reportage di viaggio che si propone di delineare un percorso nella complessa e aggrovigliata narrazione degli eventi che caratterizza le terre a est del profondo Nordest italiano, così vicine ma ancora poco conosciute e frequentate.

Gli impegni con la figliolanza non mi permetteranno di visitare la mostra, ma in attesa di poter vedere l'opera di Alessandro Coccolo e Simonetta Di Zanutto esposta più avanti in altri luoghi, ho fatto qualche domanda a Simonetta, per approfondire il perché di questa mostra e per saperne di più sulla sua esperienza legata ad un viaggio così particolare.

balcani dopo la guerra locandina

- Come è nata l'idea di un viaggio a Srebrenica proprio nel ventennale dell'eccidio e nei giorni della commemorazione di Potocari?

Ci sono 364 giorni all’anno per visitare il memoriale lontano dalla folla e dai flash dei fotografi ed è mia intenzione farlo. Però il giorno della celebrazione ufficiale è qualcosa di diverso: ti dà qualcosa in più e probabilmente anche qualcosa in meno rispetto agli altri giorni. Le celebrazioni dell’11 luglio a Srebrenica sono uno dei pochi momenti in cui la stampa internazionale parla dei Balcani. Erano anni che volevo esserci: nel 2015 ho capito che non avrei potuto rimandare ancora.

- Essendo una giornalista ed un fotografo, avevate già in mente un reportage e, quindi, la mostra, oppure questa idea è saltata fuori dopo?

L’idea è nata dopo. Io e Alessandro ci siamo conosciuti in quell’occasione, anche se abitiamo nella stessa regione, e al ritorno abbiamo pensato che fosse un peccato non provare a condividere anche con chi non c’era quello che avevamo visto, che avevamo provato a capire e che ci era rimasto dopo un viaggio di questo genere. Alessandro si occupa da tempo del tema del confine, ha già fatto altre mostre e sul suo sito si possono vedere molte immagini per raccontano il suo modo di fotografare e di documentare. Per me è stata una sfida accompagnare il suo lavoro con alcuni testi: raccontare i Balcani è davvero molto difficile. La loro storia è complessa, il rischio di banalizzazione e di eccessiva semplificazione è sempre dietro l’angolo. In realtà questa complessità rappresenta una parte del fascino che i Balcani da sempre esercitano su di me.

- Avevate già visitato quella parte di Bosnia Erzegovina oppure è stata la vostra prima volta?

Nella mostra ci sono alcuni scatti anche della Croazia, in particolare di Jasenovac e del villaggio di Novska. Il resto invece riguarda la Bosnia orientale, la parte di territorio che si trova al confine con la Serbia. Io sono stata diverse volte nei Balcani, ma mai in queste zone. Per Alessandro invece era la prima volta assoluta: prima di andarci ha preferito documentarsi a lungo sulle zone visitate.

- Cosa è rimasto dell’intreccio di popoli che da sempre abita e caratterizza quelle terre?

È una domanda che mi faccio sempre anch’io e a cui non so dare una risposta definitiva. Deposte le armi, i conflitti non sono finiti. Se si visita la Bosnia nei giorni della cerimonia di Srebrenica la tensione è palpabile. Le ferite sono ancora aperte, anche perché in questi anni non c’è stato sviluppo economico e le prospettive per la popolazione sono ancora troppo poche. La struttura amministrativa e politica paralizza il territorio. Probabilmente vent’anni sono ancora troppo pochi. Servirà un’altra generazione per tentare di ricomporre l’identità multiculturale del paese.

balcani cimiteri

- Quali sono i segni ancora visibili sul territorio e che cosa raccontano del suo passato?

Di segni ce ne sono moltissimi e uno degli obiettivi di questa mostra è proprio quello di provare a raccontarli. I cimiteri, ad esempio, non sono mai soltanto semplici luoghi di sepoltura, ma veri e propri libri di storia. E poi ci sono quelli che io definisco “monumenti inconsapevoli”, ruderi e scheletri di edifici che portano con sé una storia densa di significati, per chi ha la voglia e la pazienza di leggerli.

- Quali i sentimenti e le emozioni in occasione delle celebrazioni dell’eccidio di Srebrenica?

Al rientro ho avuto bisogno di una settimana per metabolizzare questo viaggio. Non riuscivo a buttare giù nero su bianco nemmeno un pensiero. È stata un’esperienza molto intensa. Non soltanto la cerimonia del ventennale. Abbiamo voluto andare a vedere anche delle celebrazioni che i serbo-bosniaci fanno dei loro morti il giorno dopo, il 12 luglio, e di cui nessuno parla. E abbiamo avuto la fortuna di riuscire ad entrare al Centro di identificazione di Tuzla, dove antropologi e patologi si occupano del riconoscimento dei resti dei corpi ritrovati nelle fosse comuni. Un alto luogo che lascia il segno è il memoriale di Slana Banja a Tuzla, che ricorda la strage di 70 ragazzi tra i 18 e i 25 anni di ogni fede religiosa. La Bosnia e i Balcani non sono soltanto Srebrenica. Noi ci abbiamo girato attorno, come dice il titolo della mostra, in senso geografico ma anche dal punto di vista delle emozioni, per mettere vicino più tasselli che compongono una ferita non ancora rimarginata.

- A che punto è la prospettiva di conciliazione che possa confluire in una memoria collettiva?

Se rispondo “all’inizio” sembro troppo pessimista? La realtà è che i contrasti tra i popoli che si sono affrontati vent’anni fa non sono ancora stati metabolizzati e quindi superati. Perlomeno non da tutti. Molti giovani sono emigrati da anni e si sono rifatti una vita altrove, alcuni provano a capire se nei loro luoghi di origine un futuro è ancora possibile. Alcuni giorni prima delle celebrazioni, i manifesti di Putin sono stati appesi lungo tutto il percorso che porta da Bratunac a Srebrenica: la Russia aveva appena messo il veto sulla definizione di genocidio per Srebenica. Ancora molti sentano la tensione del mancato riconoscimento della parte avversa, dilaga la guerra dei numeri per stabilire di chi sono le colpe e chi ha sofferto di più, il premier serbo Vucic è stato preso a sassate durante la manifestazione. Certo, ci sono anche progetti importanti di condivisione che stanno venendo avanti, come la cooperativa agricola “Insieme” o le iniziative di “Adopt Srebrenica” della Fondazione Langer. Importante è non perdere la speranza di una rinascita. Ma è ancora molto complicato.

balcani dopo la guerra 1

- Avete avuto modo di parlare con le giovani generazioni bosniache? Quali sono i loro sentimenti nei confronti della recente storia?

Nei giorni delle celebrazioni di Srebrenica non è facile parlare. Mai come durante questo viaggio ho avvertito la necessità di accostarmi con discrezione a determinati luoghi e in particolari momenti. È difficile non sentirsi ingombranti. Le persone hanno meno voglia di parlare e più desiderio di sapere cosa ci fai tu in quei posti. La Bosnia e i Balcani in generale sono paesi molto accoglienti, che io consiglierei a tutti, ma in quei giorni e in quelle zone ho sentito un po’ più di diffidenza, almeno in alcune occasioni.

- Cosa portate con voi di questa intensa esperienza, oltre a ciò che è esposto alla mostra?

La voglia di tornare e la voglia di cercare di comprendere ancora di più. Il fascino dei Balcani secondo me risiede anche in questo. Sono luoghi molti vicini a noi geograficamente, ma ancora oggi vengono considerati esotici, a volte addirittura pericolosi, molto spesso con poco o nulla da offrire. Non sono mete tipicamente turistiche: a pochissimi viene in mente di programmare un viaggio a Sarajevo o a Belgrado, ancora meno in altre zone della Bosnia o della Serbia, mentre la Croazia è nota per il suo splendido mare, ma ben poco si sa del restante territorio che compone il paese. Anche perché vent’anni sono pochi e l’eco di una memoria incomprensibile è ancora vicino. Invece i Balcani sono accoglienti. Sul selciato del centro storico Sarajevo c’è una linea che indica simbolicamente dove l’est incontra l’ovest. E secondo me è davvero lì che si incontrano questi due mondi: come si fa a non volerci tornare?

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