La consapevolezza dei quarant'anni (e tanti auguri a me!)
Quarant'anni.
È già un po', quasi un anno, forse, che quando mi chiedono quanti anni ho, rispondo secca: <<quasi quaranta>> e il Toparco, se è con me, subito mi rimbrotta: <<trentanove, mamma, quaranta li fai il 9 gennaio>>. Appunto.
Il 9 gennaio è arrivato ed io sono qui, con voi, a festeggiare la mia cifra tonda e ad entrare nell'età dei grandi.
Come immaginavo di essere a quarant'anni quando ne avevo venticinque
Fino a che non ho conosciuto Enrico, a quarant'anni mi immaginavo single e in carriera. Forse con un compagno. Ma in carriera. Forse a rincorrere l'idea di un figlio. Ma in carriera. Avevo investito tutto, fino ad allora, nella mia formazione e la cosa più naturale, secondo me, era raccogliere i frutti del mio sacrificio e andare a dirigere un'industria. Sennò cosa l'avevo studiata a fare Chimica Industriale?
In realtà a quarant'anni avrei voluto avere anche una famiglia, o iniziare a crearne una. Sarei voluta essere magra e alta. E, magari, un po' più lineare di mente, ché essere incasinate non è una buona cosa. Ma tutto ciò mi sembrava impossibile.
Come speravo di essere a quarant'anni quando ne avevo trenta
Il compleanno dei trent'anni me lo ricordo bene: avevo fatto da pochissimo il concorso per l'Ufficio Ambiente in Comune a Vecchiano e, siccome se c'è una cosa che mi riesce, quella è studiare, ero arrivata terza.
La prima classificata aveva rinunciato al posto; la seconda aveva appena firmato il suo contratto a tempo indeterminato, ma a fare le prove di concorso mi aveva detto di essere già vincitrice di un altro concorso e di aspettare quella chiamata.
E io ero lì, ad aspettare la sua chiamata per poter ricevere la mia. Sarebbe arrivata di lì ad una ventina di giorni e a trent'anni, un mese e una settimana avrei firmato il mio contratto a tempo indeterminato, che poi avrei riposto con enorme orgoglio nel tubo in cui giaceva il certificato di laurea.
Avevo trent'anni, dopo varie esperienze che mi avevano fatto capire che io non facevo per l'industria, insegnavo in un istituto paritario ed ero lì, ad aspettare quella chiamata e quella firma che mi avrebbero consentito di sposare, finalmente, il mio Oci, l'unica persona con cui sto meglio che da sola.
Avevo desiderato talmente tanto di poter avere una stabilità economica per potermi sposare che non pensavo al dopo. Per me quello era già tutto.
E invece a quarant'anni...
Invece qualcosa si è sbloccato e la mia vita ha cambiato ritmo. Tutto ha iniziato ad andare veloce. Velocissimo. Enrico ha capitolato a sposarmi a undici mesi esatti dalla firma del mio contratto. Dopo un mese e mezzo dal matrimonio anche lui avrebbe firmato il contratto per il lavoro della vita.
Per il mio compleanno dei trentadue dovevo avere il ciclo; visto che non era arrivato, vedemmo bene di passare una giornata in un centro benessere. Ops. C'era già Marco: il giorno del primo anniversario di nozze andammo a Lerici: ero incinta di cinque settimane. Mi addormentai, dopo pranzo, su una panchina vista mare. E di lì, via, con puppa, pappe, pannolini, senza mai smontare il fasciatoio, perché dopo un'altra sauna e una settimana di sciate in cui mi sentivo un po' affaticata, è arrivato anche Giacomo. E ridai di puppa, pappe, pannolini, ma anche di gelosia, di "mamma è mia".
Mamma è mia. Povera mamma. Mamma è una ed è pure piccina. E è un po'stanca, a quarant'anni. Mamma avrebbe bisogno di tornare ad essere più Silvia e meno mamma. E Silvia avrebbe bisogno di dedicarsi di più a questo nuovo e scintillante lavoro, di cui parla col sorriso sulle labbra e gli occhi che brillano; questo lavoro che le ha fatto lasciare quel tanto agognato contratto a tempo indeterminato, senza il quale non sarebbe qui e non avrebbe tutta questa bella e divertente gente intorno.
La consapevolezza dei quarant'anni
E sì, oggi ho quarant'anni.
E i quarant'anni, per me, si portano dietro la consapevolezza del conoscersi e del conoscere gli altri.
Ho iniziato a dividere il mondo in coloro con cui mi piacerebbe bere un caffè e tutti gli altri. Ed ho deciso che d'ora in poi il caffè lo berrò solo con chi mi va. Sennò, meglio da sola.
Ho imparato a fidarmi del mio istinto, anche sul lavoro. Se con una persona o un'azienda non c'è feeling, meglio un cliente in meno che un grattacapo in più. La cosa funziona. Garantito!
Ho iniziato a capire che sarò mamma per sempre e che lo sarei stata anche se non lo fossi diventata, perché i genitori, a un certo punto, iniziano a diventare un po' figli. E i figli un po' genitori.
Ho iniziato a capire che più passa il tempo, più è difficile raggiungere uno stato di equilibrio ed il mio dipende per la maggior parte dal lavoro. Probabilmente sono nata per lavorare in proprio.
Ho imparato a dire vaffanculo e a dirlo senza ritornarci su. Mi sento più leggera.
Ho imparato che si fanno dei percorsi che ci portano a stare con alcune persone. Ho imparato a perderle di vista, pur mantenendole nel cuore.
Ho imparato che se c'è stima ed amicizia, non sentirsi non vuol dire non essere più amici o non volersi più bene, ma solo avere diversi interessi.
Ho imparato che gli interessi cambiano velocemente, così come le esigenze di figli e genitori e ho imparato a seguire il qui e ora.
Devo imparare ancora una cosa, però. Devo imparare a delegare. Delegare: una parola che finora ho usato troppo poco e che invece è tipica dei grandi. Perché a quarant'anni si è grandi. A quarant'anni sono grande, anche se mi compro i palloncini e i miei figli si arrabbiano perché li vorrebbero loro.
Ho quarant'anni, sono consapevole di essere grande; ma resto sempre un po' folle. Sennò che tristezza!