L'Italia e il Made in Italy: intervista a Riccardo Badon di de Robert

Le scarpe de Robert sono, ormai da quasi un anno, presenza fissa ai piedi della Signora Trippando. In viaggio o al parco dietro casa, offrono comodità e stile, sia nella linea classica che in quella, più sprint, Olivia e Martina. Avere le de Robert ai piedi è sperimentare il Made in Italy in prima persona. A proposito di Made in Italy, avevo delle curiosità e ho fatto qualche domanda a Riccardo Badon, nipote del fondatore e attivissimo in azienda. Sono certa che interesseranno anche voi. 

Quando, come e con quali prospettive è nata de Robert?

De Robert è nata ufficialmente nel 1955 anche se iniziò 5 anni prima con il nome del nonno: ZeBa (Zeno Badon). La classica storia degli anni ’50… 5 fratelli, ognuno con la sua fabbrichetta e lui (prima dipendente del fratello maggiore) fu l’ultimo a partire e ad  oggi la sua è l’unica delle 5 ancora ad esistere. Nel ’55 cambia nome e diventa Robert. Negli anni ’70, acquisisce il nome attuale: de Robert Calzature s.r.l. ed entrano a far parte della società i figli: Roberto (mio Papà) e Siro (mio zio); il primo in produzione e collezione, il secondo in amministrazione e gestione, ma, fino alla sua scomparsa, sempre sotto l’occhio attento del padre.

De Robert è nata come le classiche fabbrichette: “so fare questo e faccio questo”, fornendo i negozi della zona; solo con l'entrata dei figli è stata strutturata, modernizzata con la catena elettrica e portata ad aprirsi a tutta l’italia, con, al momento, sei agenti sul territorio italiano, punti vendita dalla Val d’Aosta alla Sicilia e quattro agenti all’estero.

L’obiettivo era ed è tutt’ora quello di fornire una calzatura di alta qualità sia nella fattura che nei materiali e nella lavorazione e sfruttare questo per posizionarci in una nicchia di mercato, dato che non abbiamo un nome/brand forte da poter essere riconosciuto come una griffe.

E adesso com'è, fisicamente, quella che era "una fabbrichetta"?

Quella che ora era fabbrichetta ora è un’azienda alla terza generazione, con 42 dipendenti, una produzione di 400 paia di scarpe al giorno circa, un bilancio annuo di 8 milioni di euro circa, che partecipa alla principali eventi fieristici: da Milano, Mosca, Duesseldorf, Parigi, Monaco, NY, Las Vegas e che ha uno showroom ad Hong Kong e uno a Bruxelles. Stiamo programmando una riorganizzazione generale per aprirci a nuovi mercati e stiamo cercando di creare un ufficio comunicazione interno, per gestire pagine social e sito in tempo reale…

Una fabbrichetta che si è trasformata in industria di altissimo livello. Ci racconti come ci si sente a portare il proprio nome e quello dell'Italia nel mondo?

E' impegnativo, perchè la competizione è sempre più elevata e l'offerta vastissima. Bisogna imparare le tradizioni e le usanze dei paesi nei quali ti proponi, capire le esigenze della clientela finale e adattare il prodotto al mercato... Impegnativo ma stimolante! Il nome del Made in Italy, purtroppo, non si capisce bene che valenza abbia, nel senso che in un periodo di instabilità e insicurezza come quello che stiamo vivendo il Made in Italy ha certo la sua importanza e il suo valore ma non è fondamentale. Della serie: se c'è meglio; se non c'è non importa.

Per farti conoscere devi lottare con altre armi: raccontare chi sei, da dove vieni; la tua qualità va spiegata e fatta capire. Diversa cosa, invece è se sei una firma: in quel caso il Made in Italy è la cosa più importante e dà valore aggiunto! Il nome Italia però ti aiuta per il fatto che TUTTI vorrebbero vivere nel nostro paese e quando sentono la tua parlata si illuminano gli occhi di tutti.

Lavorando spesso con stranieri e andando per fiere in tutto il mondo, ci racconti come sono visti gli italiani nel mondo e come invece sono visti i prodotti Made in Italy?

Come ti dicevo, gli italiani sono AMATI all’estero: quando sentono la nostra parlata, dicono: “WOW.. are you italian???” I prodotti Made in Italy hanno il loro perché: il fatto che vengono prodotti in Italia, meglio ancora, nella Riviera del Brenta nel nostro caso, viene apprezzato quindi e stanno li a controllare se le scarpe siano fatte bene o no, si fidano! Ma non è la condizione fondamentale: ora come ora la qualità è importante ma anche il prezzo ha la sua incidenza.

Sull'Italia come paese, invece… che dire: amano le nostre terre, il nostro mangiare, il clima, ma per il resto pensano un po’ quello che pensiamo noi... questi giorni ne sono un’esempio...

Anche se, parlando bene a fondo... tutto il mondo è paese. Le beghe che abbiamo noi le hanno anche gli altri paesi; magari loro sono più bravi a nasconderle!

E di Riccardo Badon cosa mi dici?

Ho 30 anni, sono in azienda da 8. Ricopro, con il mio papà il ruolo di coordinatore di collezione. Il compito nostro è quello di coordinare il lavoro dell'ufficio stile, di fare da filtro tra il design proposto e il nostro target di riferimento (la nostra "donna de Robert") e le esigenze dei nostri clienti. Ecco perchè partecipiamo a tutte le fiere in prima persona. Ho frequentato l'azienda, e in particolare la modelleria e la produzione, già quando studiavo alle scuole medie, durante la pausa scolastica estiva.

Dopo il liceo scientifico ho frequentato il Cercal a San Mauro Pascoli: scuola di stilismo e modelleria per calzature.Dopo 4 mesi come stagista presso la modelleria di Baldinini srl, sono rientrato in Riviera del Brenta, ho trascorso 1 anno all' ufficio stile e ho iniziato a frequentare il Politecnico Calzaturiero, dove mi sono diplomato nei 2 anni di Tecnica Calzaturiera e nel terzo anno specialistico di Stilismo. 

Anche questa è l'Italia. Un'Italia che ci piace molto. 

 

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