
Umbria: alla ricerca del comfort food

il pane per la grande bruschetta
In Umbria, nel recente week end trascorso in occasione della manifestazione Frantoi Aperti, ho avuto l’ennesima riprova che il cibo può trasformarsi in comfort food, fonte di emozioni e di ricordi.
Ho provato la gioia di ritrovarmi bambina: cominciando dalla visita al frantoio di Alessandro Ricci a Montecchio, dove veder scorrere, odorare, assaggiare l’olio verde smeraldo appena franto (e il pane appena sfornato!) mi ha creato un effetto “rewind”, facendomi tornare indietro nel tempo fino alla mia infanzia, quando le zie mi offrivano per merenda una bella fetta di pane irrorato con l’ “olio buono”.

Come il crostone di pane tostato (rigorosamente non salato come è uso in Umbria) servito con i legumi e la pancetta croccante che ci hanno offerto come antipasto alla Locanda Rovicciano, nel comune di Castel Ritaldi, la zuppa di ceci fatta con la pasta di tutti i tipi e servita nella grande pentola di alluminio del ristorante Le Prata o ancora la torta fatta in casa ripiena di crema che la signora Daniela ci ha servito la mattina a colazione dopo la notte trascorsa nel bellissimo hotel Villa Zuccari ricavato in quella che era la dimora di famiglia.

Appunto: ogni boccone un’emozione, un ricordo, un turbamento affettivo. In Umbria è facile cadere nel sentimentalismo gastronomico: la cucina tipica privilegia materie prime “antiche” ed eccellenti trasformate in piatti prelibati grazie a preparazioni essenziali, seguendo le medesime indicazioni che venivano utilizzate cento anni fa ed anche di più. Ed in Umbria anche le innovazioni, le sperimentazioni, non stravolgono mai del tutto la struttura di base di una ricetta. Farina ed acqua per dar vita agli strangozzi, olio e funghi per creare sughi prelibati, uova mescolate a tartufo per frittate degne di tavole reali, minestre bollenti appena tolte dal fuoco dove i legumi si sposano alle verdure dell’orto. E su tutto l’olio dell'Umbria, ovviamente, che da solo è capace di apportare gioia e ricchezza.

A proposito, sapete cos'è il comfort food? Immagino di si, ma nella remota eventualità questa definizione vi giunga nuova, proverò a darne una rapida definizione: anche se il termine inglese potrebbe spingervi ad immaginare preparazioni e pietanze elaborate, “costruite” con ingredienti preziosi o con tecniche sofisticate di cucina, il comfort food non è altro che il cibo della tradizione, quello che rassicura perché fa ricordare con nostalgia l’infanzia, il calore delle cucine di una volta, gli odori sprigionati dal sobbollire di zuppe povere ma saporite. La cucina della nonna, insomma, piatti semplici che hanno la capacità, un po’ come le mitiche madeleines di Proust, di riportarci indietro nel tempo.

Molte delle pietanze che rientrano nel concetto di “comfort food” sono genuinamente caloriche, efficacemente consolatorie, spesso morbide al palato, con sapori che richiamano la campagna ed apportano benessere a chi le mangia. Addirittura in alcune situazioni di stress emotivo possono avere un lieve effetto terapeutico euforizzante o tranquillizzante. Endorfine gustose e sicuramente meno dannose di tante “pillole della felicità”, da incamerare per sopportare i momenti difficili, per ritrovare il benessere, per farsi una coccola affettuosa e soprattutto per volersi bene. Anche se ciò comporta qualche caloria di troppo (perché, come si dice a Roma, “quanno ce vo', ce vo'”!).