Un anno di libertà: la mia vita e il mio lavoro da quando mi sono licenziata

Un anno. È passato esattamente un anno dal 7 luglio 2017, giorno in cui è stato effettivo il mio licenziamento e giorno in cui ho annunciato la mia scelta di libertà ai miei figli e al mondo, attraverso una lettera (questa), che se non ha fatto il giro del mondo, di certo ha fatto quello d'Italia. Mi ha portato su Il Tirreno e su La Nazione, regalandomi giornate con oltre 17.000 mila pagine viste. Sì, in un sol giorno. E lo so pur'io che gente brava non arriva a farle in un mese e qualcuno nemmeno in un anno. Ma è andata così: una che lascia un posto pubblico (in Comune!) per mettersi a fare la blogger incuriosisce e parecchio, sicché via, tutti a leggere il suo blog, per vedere, per capire, per conoscerla meglio, questa folle.

Dai giornali locali sono arrivata su Italia Oggi, con un articolo bellissimo (questo) che, a mia insaputa, mi ha dedicato Filippo Merli. Sì, a mia insaputa, perché l'ho scoperto dopo quasi due mesi, quando mi è stato nominato dalla redazione di Radio 24, che proprio in virtù di quell'articolo mi ha contattato per un' intervista, in diretta, protagonista della trasmissione "I Funamboli", condotta da Alessandro Milan, Veronica Gentili e Leonardo Manera (potete riascoltarmi qui, dal minuto 43:25). Una bella soddisfazione, non c'è che dire. E anche una bell'eccitazione, comparabile, più o meno, a quando mi ha chiamato la redazione di Sky TG 24, a gennaio, e di cui ho scritto qui.

Tutto questo è quello che si è visto, di questo primo anno di libertà.

Ora vi dico le sensazioni, che credo siano ben più importanti. E come ho affrontato quest'annata.

Io sono una formica, una che se ha 100 spende 50. Sempre. Da sempre. Dovendo partire da zero, mi è venuto naturale abbattere le spese: ho dichiarato austerity (con grandi risate da parte dei familiari) e così è stato: niente signora delle pulizie e niente vestiti nuovi. Niente palestra, ma camminate mattutine accorpando, dopo aver portato i bimbi a scuola, le chiamate di lavoro da fare ogni giorno.

Sono rimasta così, in bilico, in tensione, in equilibrio precario, con il lavoro che ingranava, ma era agli inizi e, di fatto, con quello che mi restava in tasca che se ne andava via, quasi tutto, per la retta del nido di Giacomo. Ho continuato l'austerity e, a gennaio, forte della mia partita iva esposta nel footer del blog (se l'avete, esponetela e mi rammenterete!), ho iniziato a scrivere a tutte le aziende ed agenzie di comunicazione con cui avevo collaborato negli anni precedenti. Le cose da dire erano essenzialmente due: che ero disponibile a nuove collaborazioni e che avevo iniziato a fare sul serio, avendo la partita iva. È iniziato un cambio di marcia; un vero passaggio da cazzona professionale a professionista professionale. Perché essere seri e professionali paga, ma avere la partita iva fa la differenza. La fa per gli altri, si badi, eh! Io sono sempre la solita e la mia qualità è sempre uguale, che piaccia o no. La serietà non si acquisisce con una comunicazione alla Camera di Commercio, ma in questo caso è davvero un abito che rende il monaco diverso, un abito che fa lavorare di più, com'è giusto che sia.

Ho ripreso una signora ad aiutarmi nelle faccende domestiche, il consorte ha ripreso a sorridere e mio padre a spendere, dopo sei mesi di casa sporca, di marito perplesso e di babbo che pensava solo a risparmiare, temendo che non ce l'avrei fatta.

Ivece ce la sto facendo e ce la sto facendo piuttosto bene. Ce la sto facendo perché marito bancario e genitori statali in pensione mi hanno dato fiducia e non era affatto scontato; ce la sto facendo perché i figli hanno capito che da quando mamma chiama scrivania il tavolo di cucina è più felice e, quando finisce di lavorare, gioca più volentieri; ce la sto facendo perché ho un commercialista che fa la differenza; e non solo perché è un caro amico. Ce la sto facendo perché ce l'ho fatta. Ce l'ho fatta a chiudere con un lavoro che non mi piaceva. Ce l'ho fatta a pretendere, nel mondo, il posto che, sono convinta, mi merito.

Poi, vabè, ci sono notti in cui mi sogno di picchiare la mia ex dirigente, quella che mi diceva che non ero brava e mi correggeva l'italiano; sogno di picchiarla ma non riesco a farle male e la picchio sempre di più. Poi mi sveglio e faccio una grassa risata. Ma grassa davvero!

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