Tre ore a Palermo (sono bastate a farmene innamorare)

Quanto tempo basta per innamorarsi di una città? Poco, molto poco. Penso sia, come succede tra le persone, un fattore di "pelle" o di "chimica". Non so se Palermo si sia innamorata di me - dubito - ma io di lei sì, fortissimamente. Tre ore a Palermo sono bastate a decretare un innamoramento folle, ma già una mezz'ora persa tra odori e vocìi di un mercato (che poi ho scoperto essere quello di Ballarò) mi erano stati sufficienti per invaghirmi assai e per fare di tutto per ricavarmi un altro paio d'ore abbondanti per esplorare Palermo.

Faccio un balzo indietro di oltre venticinque anni, quando viaggiavo coi miei genitori e un gruppo di amici fraterni con le "gite del prete" (chi mi legge da un po' ormai avrà letto e riletto questa storia). Sono arrivata qualche giorno fa a Palermo col ricordo di una città rovente (c'ero stata attorno al Ferragosto) e affollata al limite del confusionario. Il treno che dall'aeroporto di Punta Raisi porta alla Stazione centrale di Palermo (con parecchie fermate intermedie, anche cittadine) è una bellezza di panorami ed efficienza e catapulta ai margini del centro storico.

Appurato che il mio bus per Lercara Friddi (dove dovevo fare una docenza) sarebbe partito "dov'è quella macchina grigia, verso le undici-undici e un quarto", in una mezz'ora mi sono inoltrata in via Maqueda e da lì ho seguito il mio odorato: nonostante fossero poco più delle dieci di mattina, qualcuno nei paraggi stava grigliando. Al suono di "bella signora riccia, mangi qualcosa che è sciupata", ero già palermitana. Non ho seguito il consiglio, essendo ancora in orario da cappuccino, ma mi sono addentrata tra i vicoli e ho scoperto la vivacità di un mercato immerso nei colori di una città affascinante. I miei occhi non sapevano cosa guardare: accarezzavano vivande e oggetti col pensiero al bagaglio, sempre troppo piccolo, per poter risparmiare sul costo del volo. Pesce profumato, carne saporita, cumuli di spezie. E poi formaggi, cannoli appena riempiti... Come i miei occhi, pieni di meraviglia, soprattutto nel guardare le fette di cocomero (sì, il cocomero a fine febbraio) e i mucchi di finocchietto selvatico, strabordante ai bordi della strada che, passando per Vicari, mi ha portato a Lercara Friddi, quasi a metà strada tra Palermo e Agrigento, paese che ha dato i natali ai nonni di Frank Sinatra. In un giorno e mezzo, tra cui mezza giornata passata a girottolare, ho potuto toccare con mano l'accoglienza e le bontà di questo questo paese che, nato attorno alla miniera di Zolfo, ha avuto la sua massima espansione quando Palermo era tirata in alto dai Florio e poi ha subito tre esodi, l'ultimo ancora in corso.

Lercara Friddi, che un caso (ma io non credo al caso!) mi ha messo tra le mani la sera del mio rientro a casa, in "Storie di vino e libertà" di Angelo Floramo. Subito mi è salita la voglia di riprendere in mano "Come papaveri rossi", sempre del professor Floramo (che adoro per cosa scrive e per come scrive), sempre Bottega Errante Edizioni, per chi volesse seguirmi in questo consiglio di lettura. La rileggerò con occhi diversi, la storia del nonno socialista siciliano, poi esiliato nel Carso.

E poi Palermo, di mattinata, con la busta di cannoli della Pasticceria Oriens in mano, guai metterli in verticale nello zaino, all'aeroporto di Palermo le buste coi dolci non fanno bagaglio! E allora di nuovo Ballarò, in velocità, un pezzo di Vuccirìa e un accenno di Mercato del Capo, perché i mercati sono prioritari, quando mi approccio a un luogo nuovo. I Quattro Canti, il Monastero di Santa Caterina d'Alessandria, la Chiesa di San Cataldo, i Giardini Garibaldi, il porticciolo de La Cala, dove ho comprato un piccolo barattolo di alici da un pescatore che le stava lavorando a mano. E poi la Cattedrale. "O che giro per due ore e rotti a Palermo e mi perdo la cattedrale?" Pareva più vicina. Colpa mia, che non seguo le vie dirette ma mi perdo tra i vicoli, ascolto i discorsi della gente, mando messaggi e scatto foto.

Sono rientrata da un paio di giorni, ma ho ancora nelle gambe l'acido lattico della camminata per prendere al volo il treno per l'aeroporto... e non che per l'apertura del gate abbia dovuto aspettare. Ma sono rientrata col sorriso di un innamoramento in corso e col desiderio di tornare presto coi miei figli. Ci metteremo tre giorni per vedere, con calma, quello che io ho macinato in poco meno di tre ore (su due giorni). Lo fa.

Non si vive di solo lavoro, né si campa di entusiasmo, ma quando si riesce a mixare i due ingredienti e avere gli occhi che ridono, ecco, allora tutta la fatica del quotidiano comincia a avere un senso.

[Troverete dei refusi, in questo periodo faccio poco la blogger e molto la formatrice. Il bello della partita iva è anche questo. Ma è indubbio che amo di più scrivere di luoghi che raccontare cose difficili. Tornerò più spesso. E ringrazio "la Patri", collega e amica della mi'mamma, che ogni volta che mi legge mi messaggia per dirmi che devo scrivere di più. Siccome è colei che leggeva i miei temi alle elementari e già allora diceva che ero brava, ecco... Scriverò di più, magari in velocità e d'un fiato come oggi... Tanto a occhi aperti ci viaggio sempre e condividere le mie impressioni su Trippando deve pian piano tornare a far parte della mia quotidianità.

Pubblico senza rileggere, senza guardare i "pallini" della SEO. Penso al mio prof di scrittura di viaggi (Claudio Visentin della Scuola del Viaggio) e in questo momento so che anche lui mi sta dicendo "dai". Sto tornando Patri, sto tornando Prof... Mi diverto sempre a scrivere, eh!]

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