

Fausta Munno e la gastronomia del Gargano
Raccolgo il testimone che Sara mi ha lasciato nel suo racconto Bloggerhouse. E vi racconto il mio.
Quando abbiamo pensato ai progetti da presentare per partecipare alla Bloggerhouse, io ho alzato la mano quando è stata chiamata la gastronomia. Prima della partenza mi immaginavo come una bambina alle giostre in un agriturismo immerso in un aranceto o in un uliveto ad assaggiare orecchiette fatte all’istante, caciocavalli e focacce pugliesi gonfie e morbide con pomodorini. Il primo approccio con la Signora Fausta è stato un pochino nebuloso, volevo sapere come e quando, volevo sapere cosa, volevo sapere dove, ma le uniche cose che sono riuscita a strappare dalle corde vocali della Signora Fausta sono state “stai tranquilla, ci penso io”. Non avevo un’idea precisa di quello che avrei visto o assaggiato. Ed ero perplessa su quello che avrei potuto imparare e mettere in parole. Non avevo capito niente!
Il secondo contatto con la Signora Fausta è stato è stato un altro momento nebuloso: è arrivata in ritardo, il telefono risultava irraggiungibile, tanto da farmi pensare che forse era meglio programmare altro per la giornata perché non sarebbe venuta a prendermi.
La Signora Fausta arriva in auto con il marito, nel sedile dietro c’è una ragazzina di circa 15 anni. A fatica riusciamo ad incastrarci nell’auto e partiamo per il posto in cui lei mi presenterà la Gastronomia del Gargano, che ancora io non so quale sia. Osservo Fausta, una signora bionda a cui non riesco a dare un età. Porta sul volto i segni di una vita da lavoratrice, di una vita da cui non si è risparmiata, di idee e di iniziative che in questo sperone italiano sembrano non essere di casa. Ma cosa ha di speciale Fausta Munno? Mani da lavoratrice, occhi piccoli e due telefoni a cui risponde in modo alterno passando al marito alla guida il telefono che non usa. Il marito mi dice una frase, che mi rimane impressa, si va da Fausta Munno solo perché È Fausta Munno. Mi faccio l’idea dello stereotipo della donna meridionale brava a cucinare, il cui ego è gonfiato in modo esponenziale da chi gli sta vicino come se il saper cucinare in maniera tradizionale sia l’unica cosa che fa di una donna una donna.
Eppure qualche cosa mi sfugge: perché proprio lei, perché mi è stata presentata come un’istituzione di Vico, perché si va a mangiare da Fausta solo perché Lei è Fausta? Attraversiamo un pezzetto di foresta Umbra: la temperatura è fresca, gli alberi sono talmente alti e fitti che la strada è completamente all’ombra. Rifugio Sfilzi, ma dove siamo? Il Rifugio Sfilzi sembra un rifugio di montagna. il prato all’esterno fa immaginare deschi pantagruelici e boccacceschi e gente festante, bambini che corrono sull’erba e giocano a nascondino fra i primi alberi della foresta Umbra. Ma oggi no! Oggi piove e fa freddo e mentre Fausta sparisce dentro alla porta mi chiedo ancora perché si venga da Fausta Munno.
Una fetta di pane scaldata e un po’ di olio, qualche pomodoro, tutto prodotto da Fausta. Con una semplicità e una tranquillità che non hanno pari, Fausta farcisce melanzane, prepara “acquasale”, frigge polpette di pane, rispondendo contemporaneamente a due telefoni, spiegando quello che sta facendo, e dando indicazioni alla ragazzina della scuola alberghiera che sta facendo lo stage con lei. I sapori, i profumi sono quelli buoni, assaggiamo qualsiasi cosa che esca dalle mani di questa fatina che crea cose squisite utilizzando il pane in miliardi di modi diversi.
E la gastronomia? Sono uscita talmente entusiasta da questa esperienza che il food puro e semplice è passato in secondo piano, ma lei è lì e la sua cucina sempre operativa, l’acquasale, le marmellate, i liquori l’olio, le conserve sono tutti lì. Per tutto il resto… c’è Fausta!