L'India di Paola (parte quarta...e ultima)

Non c'è due senza tre e il quattro vien da se. Questa è la quarta ed ultima parte del bellissimo (non solo a parer mio) racconto di Paola Russo sulla "sua India". Buona lettura!

Ritorno a Delhi

Delhi ti accoglie sempre nello stesso modo, con l’aria di chi non ha affatto bisogno di te. Non le sei mancato. Ha tredici milioni di abitanti, pensa se può impensierirsi per un temporaneo visitatore che la lascia per un po’. Tanto, lo sa che torna. Dopo qualche giorno dal nostro viaggio a Jaipur G. riparte per l’Italia, ed io rimango qui a Delhi, ho ancora un mese di lavoro che mi aspetta. Un monsone anticipato scurisce il cielo di piogge improvvise e violente. Riprendo i miei ritmi solitari, interrotti dai giri in macchina con madam e sua figlia, o dagli inviti del capo, e della mia collega Pratima. Una sera rimango a dormire a casa di Pratima. Lei vive con i genitori, in un appartamento piccolissimo alla periferia di Delhi (ma Delhi ha una periferia?). Entro in casa pensando che forse avrei dovuto togliere le scarpe, saluto suo padre e sua madre. La madre è grassa e dolce, vestita in sari, e non sa una parola di inglese. Ma non è importante parlare, in fondo, se una persona ti sorride così dolcemente. La cena è buona e ricca, loro non sono vegetariani, a differenza di madam, e hanno preparato del pollo. L’unica cosa che non riesco a mangiare sono i dolci. Sono palline di semolino fritto, mi danno la nausea solo a guardarle. Le avevo provate già in ufficio, le aveva portate Malcom, l’amministratore della sede di Mumbai. Avevo a stento trattenuto la nausea. Dopo cena Pratima mi fa vedere le foto dei suoi viaggi, tutti in terre lontane e affascinanti. Dormiamo insieme nel suo grande letto. La camera è fresca e silenziosa. Al mattino mi accorgo che lei ha dormito esattamente in modo opposto a me, con la sua testa in direzione dei miei piedi. Non le chiedo il perché. Dopo tre mesi in India, ho imparato a non voler capire tutto.

Il giorno della mia partenza il capo mi accoglie in ufficio dicendomi con un mezzo sorriso che pare che l’aereo della Lufthansa abbia avuto problemi tecnici a Francoforte. Forse la mia partenza dovrà essere rimandata. Mi viene subito da dire- No, io ho comprato i dolci! Devo partire!- Ho preso dei dolci bengalesi per gli indiani e dei Ferrero Rocher per il capo, che è italiano. Un po’ di India, e un po’ di Italia. In fondo, questo è un ufficio italiano. E scopro che la Ferrero non è più italiana, è della Nestlè, ora. Mi vergogno un pò per il mio acquisto non solidale. Ma ora è fatta, e i cioccolatini sono buoni. Mangiamo tutti insieme, facciamo battute e ridiamo per dissimulare la malinconia.

La situazione dell’aereo si risolve. Stanotte parto. Verso le undici madam viene a prendermi in ufficio, mi porta a prendere un caffè al Taj Mahal Hotel, lussuosissimo, come tutti gli alberghi per occidentali e indiani ricchi. Il caffè è buono, pieno di latte, e con un po’ di cannella. Penso che domani sarò in Italia, a bere il caffè di mia madre. Lascerò la mia piccola macchinetta a madam, perché prepari il caffè come le ho insegnato, le piace tanto. L’abbiamo bevuto insieme tante volte, sedute a parlare nella veranda fresca e tranquilla di casa.

L’Ambassador nera è arrivata al terminal internazionale dell’aeroporto. Ci ha messo davvero poco, mi sorprendo a pensare. Esco un po’ controvoglia, so già cosa mi aspetta. Un facchino afferra senza alcuna fatica la valigia, la mette su un carrello, e per fare dieci metri pretende duecento rupie. Non ho voglia di discutere, e lo pago senza fiatare. La coda per il check in è interminabile. L’aeroporto non è come lo ricordavo. E’ zeppo di gente, illuminato, allegro. Dopo il check in, la dogana. Fila interminabile, anche qui. La perquisizione. Hostess giovani e carine vestite in sari controllano e aiutano i passeggeri. Mi siedo in una delle sale d’aspetto, evitando la squallida sosta al duty free. Qui è un tempo e uno spazio sospeso, non più Asia e non ancora Europa. Un’isola di niente. Non ho incontrato Mauro, l’attaché militare dell’ambasciata italiana che parte come me, stanotte, per raggiungere la famiglia che lo ha preceduto a Genova. Peccato, non ci siamo salutati domenica scorsa al Radisson, sicuri di incontrarci stanotte, in aeroporto. Un po’ ingenui, l’aeroporto è come Delhi, un posto in cui perdersi, non ritrovarsi.

Se vi siete persi la prima, la seconda e la terza parte del racconto, eccole:

L’India di Paola (parte prima)

L’India di Paola (parte seconda)

L'India di Paola (parte terza)

About Paola:

Napoletana, quarantenne per sbaglio, eterna ragazza per vocazione. Ha studiato Scienze Politiche e sognato una carriera internazionale, ha fatto tante esperienze di lavoro, anche all’estero, approfittandone per vedere un po’ il mondo. E’ progettista di interventi formativi e di azioni sociali, precaria come molti, in questa epoca incerta. Ama un sacco di cose, ed è curiosa come un gatto (animale prediletto, del resto!). La musica, la lettlettura, la scrittura, il web e le sue innumerevoli possibilità di comunicazione. Le persone, e le loro infinite storie. Il suo compagno. Il suo nipotino nuovo di zecca, bellissimo e riccioluto come lei (grazie sorella!). Viaggia in macchina, preferibilmente. Non ha la passione dell’aereo, ma ogni volta, superato il suo bel panico da decollo, prova un’ebbrezza di gioia, e di libertà. Il racconto sull’India è frutto di un ricordo ormai antico, dell’anno 2001, quando ha vissuto a New Delhi per tre caldissimi mesi, condotta lì da una borsa di studio dell’Istituto per il Commercio Estero. Ci ritornerà, un giorno, e sarà come tornare a casa…

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